C’era un giorno
dell’anno nel quale la casa era in subbuglio: i figliuoli e le
figliuole, generi e nuore, nipoti, cugini, zie, cognate, le donne di
servizio, tutti rimettevano lì, la famiglia era al completo: San
Giovanni. La festa del Patrono della città e la festa del nonno: alle
nove di sera c’erano i fuochi, i famosi fuochi di San Giovanni sul ponte
alla Carraia, la casa aveva quattro finestre che guardavano il ponte.
Era un’impresa per arrivarci; si partiva alle otto dopo cenato in
fretta, febbrilmente, e assicurata bene la porta, ch’era serata
pericolosa.
La grande difficoltà era di attraversare i ponti, quello dei
fuochi chiuso dal giorno avanti, i fiorentini erano a quell’ora tutti
per i lungarni e sui ponti, a ’fochi rumoreggiando. Pigiapigia e
confusione spesso artificiale per provocar contatti; acciaccamenti,
spinte, gomitate, scambio di ingiurie e frizzi, volava qualche ceffone;
pareva di toccar terra dopo una tempesta entrando nell’uscio di casa:
"L’uscio! L’uscio!" urlava la serva di cima alle scale, ciondolando la
lucernina per farci lume: "Chiudete l’uscio! L’uscio, per carità!" Alle
finestre i bambini tenuti dai grandi, formavano la prima fila con le
teste sul davanzale, e dietro una seconda i grandi in piedi, dietro
ancora una terza su seggiolone e panchetti, su scalei, le persone meno
importanti.Si palpitava all’avvicinarsi dell’ora. "Quanto c’è
Quanto c’è?" I babbi non riparavano a cavar di tasca l’orologio, e c’era
chi lo teneva in mano per risparmiarsi la fatica.
Il rumore della folla cresceva sotto come quella
marea, si levavano nel frastuono le grida dei venditori ambulanti:
cornetti e pandiramerino, semi, lupini, duri di menta, trombette,
girandole, bandiere, fino all’annuncio: bum! Primo tonfo tremendo fatto per agghiacciar l’ambiente in ammirazione: bum! bum! tum! bututun!
Altri seguivano facendo turar le orecchie. I cani scappavano sotto i
letti Poi principiavano i razzi a sfoderare come sciabole, lasciando
alla fine della strisciata aurea i colori bellissimi sulla popolazione a
bocca aperta e a naso ritto, che cominciava a dar dei lunghi: "Ah!…
Ah!… Ah!…" di sollievo a quella pioggia rifrigerante dopo il terrore del
bombardamento: "Ah!… Ah!…" Seguivan le girandole, annunziate con
interesse particolare e seguite con cognizione: s’intendeva anche dei
fuochi. La sora Maria guardava assorta, pervasa da una soave agonia,
quasi non sentisse il rumore. Di tanto in tanto la zia Lena, spingendo
fuori la testa come un galletto dalla stufa la ritirava ridendo. Il
nonno no s’affacciava, ma nel mezzo del salotto pareva il comandante
della vicenda: sgranava gli occhi ai tonfi, roteando il capo e facendo
guizzare i lunghi pizzi della barba, spalancando gambe e braccia,
accompagnando lo spettacolo con tutta la persona. E noi bambini ogni
tanto ci si voltava intrufolandoci fra la gente per vedere anche lui,
per non perdere nulla.
Dopo l’ultima bomba, eseguito il programma e accesa la facciata
di bengala che si spegneva lentamente col desiderio della folla
scompigliata in cerca di direzione, noi piano piano si abbandonavano le
finestre. Compariva il caffettiere con dei grandi vassoi, tutto in
faccende, e in buon punto per rialzare il morale dopo il godimento: il
nonno offriva il gelato all’intera famiglia: "Quello rosso! Quello
giallo! Quello verde!" si sentiva gridare dai piccoli corpi già presi al
guinzaglio perché non assaltassero il cameriere: "Il pesce! La
bandiera! La pecorina!" Mentre il galante donatore, seguito dall’omino
del caffè, pomposamente si faceva largo co’ vassoi.
Da "Stampe dell'800" - Aldo Palazzeschi
Immagine: Nocturne in Black and Gold, the Falling Rocket - James Abbott McNeill Whistler
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