L'Isola Tiberina è collocata nel bel
mezzo del fiume Tevere, a Roma. Essa nasce nel 510 a.C. circa quando i
Romani, dopo lo spodestamento del Superbo, gettarono tutte le provviste
di grano dei Tarquini nel fiume, rovesciandovi sopra grossi accumuli di
fango e detriti, ritenendone le mesi impure.La quantità di detriti fu
talmente copiosa che sedimentò e diede origine a questo terrapieno.
L'isola deve la sua forma di nave ad un
episodio accaduto qualche secolo più tardi, nel 293 a.C. quando una
terribile epidemia di peste colpì la città. Venne quindi inviata una
nave ad Epidauro, dove si trovava il Tempio di Esculapio (dio della
medicina), per potersi rifornire del medicinale capace di debellare
l'epidemia. Al ritorno della nave ci si rese conto che era imbarcato, ad
insaputa di tutti, anche un grosso serpente il quale, una volta rivista
la luce del sole, scappò rifugiandosi presso l'isola tiberina. Ciò
venne interpretato come un segnale divino (il serpente era infatti
l'animale identificativo di Esculapio) e per ricordare l'accaduto
diedero all'isola l'attuale forma, in modo da ricordare per sempre
l'approdo del Dio sulla loro terra. A seguito dell'episodio, venne
inoltre innalzato un tempio dediicato ad Esculapio, purtroppo distrutto
nel Medioevo. Sulle sue rovine, attorno all'anno 1000, Ottone III fece
costruire la Basilica di San Bartolomeo all'Isola. Qui, di fronte
all'altare maggiore, è conservato tutt'ora il pozzo dal quale veniva
attinta un'acqua ritenuta miracolosa fino a pochi secoli fa.
Secondo altre fonti, pare che invece
l'isola sia stata costruita sopra al vero relitto di una nave romana,
sulla quale sono poi state costruite una prua ed una poppa in pietra, ed
un obelisco al centro, a mò di pennone. Tuttavia questa teoria non ha
fondamenti degni di nota.
Non tutti sanno chel bel mezzo
dell'isola si trova un ex obitorio: è un complesso di camere mortuarie
con tanto di gabinetto per le autopsie che, nel 1920, venne utilizzato
come istituto di ricerca, senza l'apporto di significativi restauri. Nel
libro "Città eterna, città occulta" di Fulvia Cariglia, veniamo a
conoscenza della storia di due ingegneri che decisero di trasferirsi per
un po' di tempo all'interno di questi laboratori, per poter effettuare
degli esperimenti importanti sulla radiotelefonia. Di giorno tutto
scorreva liscio e tranquillo, ma di notte ne accadevano di tutti i
colori: flebili risate, urla raccapriccianti, porte aperte che venivano
improvvisamente trovate aperte e viceversa... I due ingegneri più volte
cercarono di capire chi potesse essere l'artefice di questi scherzi, ma
invano. Il mistero, ovviamente, non è mai stato svelato...
Restando nei sotterranei dell'Isola
Tiberina, riscopriamo una tradizione del XVII secolo: ai tempi la
Confraternita dei Sacconi Rossi aveva il compito di ripescare coloro che
erano annegati nel tevere (e che nessuno aveva reclamato) per potergli
dare una santa sepoltura. Le ossa venivano deposte nelle cripte
sotterranee della basilica, "decorandone" le pareti. Questa
Confraternita, il cui nome deriva dal cappuccio ed il mantello rosso da
loro indossati, ha da sempre sede a San Bartolomeo all'Isola, ed ogni 2
novembre, dai primi anni '90, organizza una processione notturna in
ricordo dei morti annegati, culminante nell'omaggio di una corona di
fiori gettata nelle gelide acque del Tevere.
© Monica Taddia
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