mercoledì 20 marzo 2013

Leggende di Triora

Queste leggende sono state pubblicate su un sito che ormai non è più on line, curato da Strega Francesca. Mi permetto di ripubblicarle qui su Italia Parallela, sperando di fare cosa gradita ai nostri lettori... e anche a chi a suo tempo le aveva scritte ;)

Era l'anno 1911, Giovanni aveva 10 anni. Un giorno la mamma gli dice:

- Ormai sei grande abbastanza per dare il tuo contributo alla famiglia, tuo padre è morto, io devo occuparmi dei campi e della tua sorellina, ho saputo che a Ventimiglia stanno cercando un garzone di macelleria e tua sorella ti ha proposto. Il tuo primo giorno di lavoro sarà domani alle 7, per cui, dovrai partire di qui alle 3.

Era un bambino sveglio e volenteroso, il lavoro non lo spaventava affatto, unico problema il terrore che nutriva per i Cimiteri.

Da Perallo (Frazione di TRIORA) a Ventimiglia, passando per boschi, campagne e paesini addormentati, doveva costeggiarne molti, per di più sarebbe stato solo, a piedi e con il buio. Con questo pensiero prima di coricarsi rivolge una supplica al suo Angelo Custode affinché lo protegga.

Disubbidire al comando della madre? Neppure parlarne.....Infine, sfinito dalla stanchezza e dal timore, si addormenta.

Alle 3, puntuale, la mamma lo chiama. Gli porge un fazzoletto legato ai 4 angoli pieno di provviste: uova sode, pane, formaggio, qualche biscotto ed una lettera per la figlia. Lo abbraccia raccomandandogli e di non dare pensiero alla sorella, già tanto impegnata con figli (i suoi nipotini).

Giovanni, da quel giorno sarebbe stato suo ospite.

Raccoglie un bastone, lo infila tra i nodi del fazzoletto, lo appoggia sulle spalle e si incammina. Solo la luna illuminava appena, la mulattiera. Tremava, pregava, e pensava al primo Cimitero, ben visibile con i muri bianchi ed il cancello in ferro battuto, che gli si sarebbe parato davanti.

Però, poco prima di arrivare al Cimitero, che si trova in fondo al paese (Perallo), sente l'abbaiare festoso di un cane, e rimane travolto ed intenerito dal cucciolo bianco e nero che gli corre incontro festoso e che, saltando e zampettando, fa capire di voler essere preso in braccio.

Il bambino lo accontenta e cammina e chiacchiera con il suo nuovo amico, si scambiano carezze e leccatine, poi il cane salta a terra, corre, inseguendo il bastoncino che gli viene lanciato, lo riporta, segue il bambino, poi sparisce e, solo allora, il ragazzino, si rende conto di aver superato il 1° Cimitero.

La marcia prosegue "c'è un altro Cimitero" pensa, quando giunge nei pressi del Paese successivo. Sente ancora l'abbaiare del cane, la scena si ripete: giochi, carezze, risate, e l'animale scompare tra i boschi.

Il bambino si chiede da dove possa arrivare quel cane, e perchè lo stia seguendo. Nella sua mente si fa strada l'idea di tenerlo "tanto" si dice "non può avere padroni, mi sta seguendo da troppo tempo e troppi chilometri". Presa la decisione gli da un nome: "Nic". Intanto un altro Cimitero è passato.

La stessa cosa si ripete ogni volta che il bambino si trova nei pressi di un Cimitero. Nic compare poco prima e sparisce poco dopo averlo superato.

Quando arriva alle porte di Ventimiglia comincia ad albeggiare. Il cagnolino, questa volta, è molto più bisognoso di coccole e desideroso di giocare. Giovanni si ferma per dedicargli un pò più di attenzione, tanto è quasi giunto a destinazione. Dopo il gioco il ragazzo raccomanda al suo amico di stare buono, perchè, appena finita la mezza giornata lavorativa, lo avrebbe portato a casa.

Il cane pare aver capito, scodinzola, si ferma e lo guarda entrare nella Macelleria. Al termine del servizio, il bambino, fiducioso, corre verso il posto dove lo attende Nic, ma di lui nessuna traccia, lo chiama, fischia, lo cerca dappertutto. Poi chiede in giro, descrive la bestiola, nessuno lo conosce, nessuno lo ha mai visto.

Solo da adulto, riflettendo sull'accaduto, Giovanni si rende conto che il cane manifestava la sua presenza solo poco prima del Cimitero. Ogni volta che ne aveva realmente bisogno. Per distrarlo dalla sua paura...?

Questa vicenda è realmente accaduta a mio nonno. Lui, non ha mai creduto alle storie di Streghe che si narravano nella Valle Argentina, convinto com'era fossero state inventate per tenere buoni i bambini. Eppure, ogni volta che chiedevo spiegazioni su quella strana storia, mi ripeteva: "Non è una favola, se me l'avessero raccontato, probabilmente, non ci avrei creduto. E' successo veramente, puoi pensare quello che vuoi, però qualcosa di "misterioso" c'è stato...".
NAZZARENA
L'alba stava appena sorgendo, quando improvviso si sentì il canto di un gallo provenire da non troppo lontano. D'incanto tutto finì. Avevano ballato tutta la notte laggiù al Cian der Prève (Piano del Prete) - dove le acque del Rio Grognardo precipitavano nel "Lagu Degnu". Giunte alcune a piedi, altre a cavallo di un bastone o di una scopa, altre ancora a dorso di diavoli trasformatisi in caproni, avevano iniziato quella festa mentre calavano le tenebre.

Nel mezzo del pianoro, seduto su un trono nero, campeggiava Satana; con il suo corpo mezzo umano e mezzo caprino, una coda bestiale, il volto pallido ma con gli occhi fiammeggianti, dominava la scena. Non appena giunte, le Streghe gli resero il dovuto omaggio baciandolo chi su una spalla, chi sulle parti posteriori. Ed ebbe così inizio il Sabba. Al ritmo imposto dal suono di un flauto modulato da Satana, le Streghe si misero in circolo e intrapresero le loro danze che, con il passare del tempo, divenivano sempre più frenetiche. Il volto mascherato o rivolto verso l'esterno, non ebbero ritegno alcuno, movendosi sempre più audacemente. Terminate le danze, iniziarono i bestiali accoppiamenti con i diavoli, dopo i quali si sdraiarono sfinite, senza piacere alcuno.

Venne allora imbastita una grande tavolata, sulla quale facevano bella mostra di sé le più svariate pietanze, escludendo però vino, sale e pane perché alimenti accetti da Dio e quindi invisi al Maligno. Tra un frastuono assordante, grida oscene e parole blasfeme, streghe e diavoli mangiarono nauseabondi cibi, dopodiché iniziarono a descrivere dettagliatamente le nefandezze compiute dopo l'ultimo convegno. Qualcuna ammise di non aver combinato quasi nulla: Satana in persona, dopo averla redarguita, la frustò.
Venne l'ora della Messa nera, momento culminante del Sabba, durante la quale un diavolo, vestito di nero, versò acqua in un calice e, rivolto verso i presenti, alzò al cielo una fettina di rapa, mentre tutt'intorno si levavano intonazioni al Signore. Al termine, Satana si trasformò in un caprone, gettandosi nel fuoco. Le sue ceneri furono tosto raccolte dalle Streghe che se ne sarebbero servite per preparare i loro intrugli. Qualcuna si levò allora in volo e, giunta su alcune fasce coltivate, vi sparse una manciata di quelle ceneri: i raccolti sarebbero stati definitivamente compromessi.

Erano ancora intente a spargere danni quando il canto del gallo tutto esorcizzò e quegli esseri indegni scomparvero nel nulla.

Altre volte si sarebbero incontrate, magari presso le fontane della Noce o di Campomavue, alla rocca di Andagna o alla Guretta di Badalucco. Altre volte avrebbero danzato processionalmente, con i moccolotti accesi, presso la fonte dei Molini oppure si sarebbero bagnate schiamazzando presso la cascata della Dragunaia di Montalto.

In particolari circostanze si sarebbero trasformate in uccellaci e al grido di: "Vola vola mignattun, che tra en ua mi ghe sùn!" (vola vola uccellaccio che tra un ora io ci sono!) si sarebbero recate fin sull'isola della Gallinara o negli antri di Toirano per unirsi con le loro colleghe della zona.

Il loro luogo preferito era, però, l'aia della Cabotina, dove rimanevano in attesa di rapire i bimbi che, al suono dell'Ave Maria, restavano fuori dalle mura di Triora.
Le mamme non finivano di raccomandare ai loro figli di star lontani da quel sinistro casolare. Proprio vicino alla Cabotina una bambina di cinque anni, di nome Nazzarena, mentre giocava con altri bambini, vide apparire un grande fuoco dalla forma di un uomo gigantesco con un lenzuolo luminoso che rischiarava tutta la zona circostante. Nonostante qualcuno incitasse alla fuga, i bimbi restarono uniti perché il fuoco era ancora lontano. Ad un bambino venne malauguratamente l'idea di mettersi a scherzare, urlando: "... fuoco di Strega vieni qui se sei capace!" Improvvisamente il fuoco, con un gran balzo, si sollevò nel cielo fulmineamente correndo verso gli esterrefatti ragazzi e fermandosi a pochi metri da loro. I bimbi fuggirono in preda al terrore, mentre la piccola Nazzarena cadeva al suolo, venendo calpestata da pesanti scarponi chiodati. La raccolsero più tardi più morta che viva.

A raccontare questa storia era proprio la diretta protagonista, oggi purtroppo deceduta. Quella simpatica vecchina parlava assai volentieri della sua infanzia povera ma felice. Nella sua modesta casa di Via Cria, dove avevano in passato vissuto i nobili Borelli ed aveva soggiornato il generale Massena durante la campagna delle Alpi, accoglieva con un cordialità d'altri tempi quanti l'andassero a trovare. Chi si recava a farle un po' di compagnia restava affascinato da quella incredibile semplicità e dal fascino che sapeva emanare. A più di novanta anni, con un fisico ancora invidiabile tanto che si cucinava da sé cibi genuini fra i quali preferiva la torta di cavolo, intratteneva gli ospiti per lunghe ore, non tralasciando di offrir loro un goccio di immancabile Vermouth chinato.

Nazzarena assicurava di aver conosciuto le ultime leggendarie streghe. I racconti che ne facevano sua madre o i suoi nonni erano tanto raccapriccianti da impedirle di prendere sonno. Suo nonno, ad esempio, le diceva che le bàgiue, come sono chiamate a Triora le streghe, non esitavano a rapire i bambini, addirittura entrando nelle case attraverso i muri, per mangiarli o per sgozzarli, offrendo il loro sangue, ancora caldo, ai morti che - in tal modo - divenivano loro schiavi.
Per difendersi dalle streghe le mamme mettevano al collo dei bambini collane di spicchi d'aglio oppure ponevano delle fascine di legna a mò di siepe vicino alle culle. Alcuni contadini, invece, appendevano sull'uscio di casa degli arnesi come la scure, il falcetto oppure il tradizionale ferro di cavallo.

Le palle di fuoco, riferiva Nazzarena, furono viste altre volte, soprattutto nel gelido inverno del 1906. Mentre si recava con il fratello ad abbeverare la mucca, il fuoco delle streghe apparve ai piedi della montagna. In un baleno risalì zigzagando e, non appena giunto sulla cima, si divise in due, indi si riunì e scese rapidamente, sempre a zig-zag, fermandosi vicino a loro due che cercarono rifugio nella stalla. Provarono sì a fuggire ma, appena giunti in mezzo al cortile, ecco di nuovo il fuoco apparire in cima alla montagna, scendere a zig-zag, dividersi in due, ricomporsi e risalire nuovamente la montagna. Non appena giunti a casa, riferirono l'accaduto ai genitori e agli altri otto fratelli che, sorpresi, poterono, a loro volta, ammirare quell'incredibile spettacolo.

Questo fatto, seppur straordinario, venne confermato anche da altri anziani del paese che giuravano di aver visto quegli strani globi provenire da Perallo. C'era chi azzardava l'ipotesi che si trattasse dei bambini in fasce trafugati, che le streghe trioresi si palleggiavano con quelle di Molini.

Nazzarena temeva le streghe e non pensava affatto che le storie che le riguardavano fossero leggende. Nella sua casa aveva abitato una delle più famose streghe, quella Franchetta Borelli che venne sottoposta ad una lunga e crudele tortura. Da giovane, inoltre, con il suo bambino di pochi mesi, incontrò un giorno una delle più famose bàgiue dell'epoca che, lanciatagli un'occhiata assassina, le chiese: "... lo sai che sono una Strega?". Lei riuscì appena a balbettare un "si, lo so". Stai attenta perché posso stregarti il bambino e farlo morire" le disse quella. Da allora la povera Nazzarena visse giorni di terrore nel timore che al suo adorato bambino potesse capitare qualcosa. Dovette pregare a lungo e portare più volte la sua creatura nelle Chiese per farlo benedire.

Foto: cimitero di Triora © Monica Taddia 

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