Bologna ha voluto rivendicare la sua
maternità sulle tagliatelle, ricordandone l'invenzione in un'epigrafe
dettata da Giuseppe Liparini e decorata da Augusto Majani, e recitata
durante le nozze di Annibale Bentivoglio con Lucrezia d'Este il 28
gennaio del 1487.
"Mastro Zafirano/ di coxina artefice
inlustre/ et gran mastro/ in conzar salsicioni et faxani/ a la corte de
messer Zoanne II Bentivoglio/ de le tajadelle asciute/ fue inventore
magnanimo./ La Famèja Bulgnèisa/ de lo gran fatto/ qui transmette il
richordo/ perchè ogni uomo manicando sappia/ qual si fue lo creatore/
de lo admirabile e petroniano piatto."
Peccato si sia poi scoperto che Mastro
Zefirano non sia mai esistito: altro non fu che una burla ideata dallo
stesso Augusto Majani...
La croce sul pane
Vi siete mai chiesti come mai i fornai e le massaie facciano un taglio a croce sopra il pane?
Narra la leggenda che un giorno la
Madonna andò con le altre donne al forno comune per cuocere il pane. Le
altre notarono che essa era solita, prima di infornarlo, apporrvi un
taglio a croce. La curiosità delle donne venne appagata quando notarono
che, a fine cottura, il pane di Maria era lievitato di più ed era,
soprattutto, molto più buono così. Da allora, la tradizione è rimasta.
Il risotto allo zafferano
Era il Settembre del 1547, ed erano in
corso i lavori di costruzione per la fabbrica del Duomo. Tra gli
artigiani impiegati nell'opera, vi era il mastro vetraio Valerio di
Fiandra, che assieme ai suoi discepoli stava lavorando ad alcune vetrate
rappresentanti gli episodi della vita di Sant'Elena. Tra questi suoi
allievi ve n'era uno veramente abile nel dosare i colori, ottenendo
tonalità impressionanti: per fare ciò aggiungeva il suo "ingrediente
segreto" all'impasto, ovvero lo zafferano. E proprio "Zafferano" fu il
soprannome che gli venne dato, tanto che ormai il suo vero nome è andato
dimenticato. Mastro Valerio, che era a conoscenza del suo trucco, lo
canzonava spesso, dicendogli che prima o poi, andando avanti così,
avrebbe iniziato a condirci anche il risotto con quella polvere.
Il giovane decise allora di fare uno
scherzo al suo maestro. Il giorno delle nozze della figlia di Valerio,
corruppe il cuoco e cosparse di polvere di zafferano il risotto servito
durante il banchetto. Ovviamente, l'arrivo in tavola di quel risotto
giallo stupì i commensali, che tuttavia si azzardarono ad assagiarlo,
rendendosi conto che si trattava di una novità decisamente gustosa. Così
lo scherzo non ebbe l'effetto sperato, ma diede vita ad uno dei piatti
più apprezzati della cucina nostrana.
Secondo altre versioni, invece, la
trovata fu dello sposo della figlia di Mastro Valerio, che per fare
colpo sugli invitati ebbe la brillante idea di
"dipingere" il risotto con il colore dell'oro, ottenuto in pittura, appunto, con lo zafferano.
"dipingere" il risotto con il colore dell'oro, ottenuto in pittura, appunto, con lo zafferano.
Un'altra versione ancora, vede
protagonisti gli operai della fabbrica del Duomo che, interpellati da un
Mastro Valerio indeciso sul menu nuziale da destinare alla figlia, non
riuscirono a dargli un'idea abbastanza originale. Un operaio abruzzese,
burlandosi di tutte queste pretese, disse che al suo paese, nel risotto,
mettevano lo zafferano... Tutti risero ma Mastro Valerio si illuminò:
prese per buona l'idea ed ovviamente il risultato fu un successo.
La torta paradiso
E' una torta che nasce dalle basi di una
ricetta povera nel 1878 nella pasticceria Vigoni di Pavia, per mano di
Enrico Vigoni. Essa prenderebbe il nome dall'esclamazione di una
nobildonna che, dopo averne assaggiata una fetta per la prima volta, ne
paragonò il sapore alle delizie del paradiso.
Narra invece la leggenda che la ricetta
fu insegnata ad un frate erborista della Certosa di Pavia da una giovane
sposa conosciuta in segreto durante un'uscita in campagna alla ricerca
di erbe medicinali. I due continuarono a vedersi di nascosto, finchè il
Priore non se ne accorse e proibì al frate di uscire nuovamente dalle
mura della Certosa. Per consolarsi, allora, egli iniziò a cucinare la
torta che tanto gli ricordava la sposina. Gli altri frati, dopo averla
assaggiata, la trovarono talmente buona che la ribattezzarono appunto
torta paradiso.
La pastiera napoletana
I napoletani, un giorno, per rendere
omaggio alla sirena Partenope che li aveva deliziati con i suoi
meravigliosi canti, decisero di recare loro in dono, attraverso sette
bellissime fanciulle, le sette cose più preziose che possedevano:
ricotta (l'abbondanza), grano cotto nel latte (l'unione tra i prodotti
della terra), fiori d`arancio(il profumo della terra campana), farina
(la ricchezza), uova (la fertilità), spezie (l'unione dei popoli) e
zucchero(la dolcezza del canto). La sirena ne fu estasiata. Depose
allora i doni ai piedi degli dei, i quali, stupiti dal bellissimo gesto,
decisero di impastarli assieme ottenendo così un dolce ottimo e
profumatissimo.
Pare che questo dolce abbia anche fatto
un piccolo "miracolo": si dice che la regina Maria Teresa non sorridesse
mai, ma che solo dopo avere assaggiato la pastiera offertale dal marito
Ferdinando II si fece scappare un sorriso.
Si dice che le monache avessero un loro
modo particolare di lavorare la pasta: veniva scelta la più formosa, la
quale si sedeva sopra all'impasto, messo sui sedili di marmo del
chiostro. Essa vi si dimenava per diverso tempo ed in modo ritmico,
mentre recitava le preghiere quotidiane...
Immagine: I mangiatori di patate - Vincent Van Gogh
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