mercoledì 20 marzo 2013

Leggende culinarie (pt.1)

Le tagliatelle
Bologna ha voluto rivendicare la sua maternità sulle tagliatelle, ricordandone l'invenzione in un'epigrafe dettata da Giuseppe Liparini e decorata da Augusto Majani, e recitata durante le nozze di Annibale Bentivoglio con Lucrezia d'Este il 28 gennaio del 1487.
"Mastro Zafirano/ di coxina artefice inlustre/ et gran mastro/ in conzar salsicioni et faxani/ a la corte de messer Zoanne II Bentivoglio/ de le tajadelle asciute/ fue inventore magnanimo./ La Famèja Bulgnèisa/ de lo gran fatto/ qui transmette il richordo/ perchè ogni uomo manicando sappia/ qual si fue lo creatore/  de lo admirabile e petroniano piatto."
Peccato si sia poi scoperto che Mastro Zefirano non sia mai esistito: altro non fu che una burla ideata dallo stesso Augusto Majani...

La croce sul pane
Vi siete mai chiesti come mai i fornai e le massaie facciano un taglio a croce sopra il pane?
Narra la leggenda che un giorno la Madonna andò con le altre donne al forno comune per cuocere il pane. Le altre notarono che essa era solita, prima di infornarlo, apporrvi un taglio a croce. La curiosità delle donne venne appagata quando notarono che, a fine cottura, il pane di Maria era lievitato di più ed era, soprattutto, molto più buono così. Da allora, la tradizione è rimasta.

Il risotto allo zafferano
Era il Settembre del 1547, ed erano in corso i lavori di costruzione per la fabbrica del Duomo. Tra gli artigiani impiegati nell'opera, vi era il mastro vetraio Valerio di Fiandra, che assieme ai suoi discepoli stava lavorando ad alcune vetrate rappresentanti gli episodi della vita di Sant'Elena. Tra questi suoi allievi ve n'era uno veramente abile nel dosare i colori, ottenendo tonalità impressionanti: per fare ciò aggiungeva il suo "ingrediente segreto" all'impasto, ovvero lo zafferano. E proprio "Zafferano" fu il soprannome che gli venne dato, tanto che ormai il suo vero nome è andato dimenticato. Mastro Valerio, che era a conoscenza del suo trucco, lo canzonava spesso, dicendogli che prima o poi, andando avanti così, avrebbe iniziato a condirci anche il risotto con quella polvere.
Il giovane decise allora di fare uno scherzo al suo maestro. Il giorno delle nozze della figlia di Valerio, corruppe il cuoco e cosparse di polvere di zafferano il risotto servito durante il banchetto. Ovviamente, l'arrivo in tavola di quel risotto giallo stupì i commensali, che tuttavia si azzardarono ad assagiarlo, rendendosi conto che si trattava di una novità decisamente gustosa. Così lo scherzo non ebbe l'effetto sperato, ma diede vita ad uno dei piatti più apprezzati della cucina nostrana.
Secondo altre versioni, invece, la trovata fu dello sposo della figlia di Mastro Valerio, che per fare colpo sugli invitati ebbe la brillante idea di
"dipingere" il risotto con il colore dell'oro, ottenuto in pittura, appunto, con lo zafferano.
Un'altra versione ancora, vede protagonisti gli operai della fabbrica del Duomo che, interpellati da un Mastro Valerio indeciso sul menu nuziale da destinare alla figlia, non riuscirono a dargli un'idea abbastanza originale. Un operaio abruzzese, burlandosi di tutte queste pretese, disse che al suo paese, nel risotto, mettevano lo zafferano... Tutti risero ma Mastro Valerio si illuminò: prese per buona l'idea ed ovviamente il risultato fu un successo.

La torta paradiso
E' una torta che nasce dalle basi di una ricetta povera nel 1878 nella pasticceria Vigoni di Pavia, per mano di Enrico Vigoni. Essa prenderebbe il nome dall'esclamazione di una nobildonna che, dopo averne assaggiata una fetta per la prima volta, ne paragonò il sapore alle delizie del paradiso.
Narra invece la leggenda che la ricetta fu insegnata ad un frate erborista della Certosa di Pavia da una giovane sposa conosciuta in segreto durante un'uscita in campagna alla ricerca di erbe medicinali. I due continuarono a vedersi di nascosto, finchè il Priore non se ne accorse e proibì al frate di uscire nuovamente dalle mura della Certosa. Per consolarsi, allora, egli iniziò a cucinare la torta che tanto gli ricordava la sposina. Gli altri frati, dopo averla assaggiata, la trovarono talmente buona che la ribattezzarono appunto torta paradiso.

La pastiera napoletana
I napoletani, un giorno, per rendere omaggio alla sirena Partenope che li aveva deliziati con i suoi meravigliosi canti, decisero di recare loro in dono, attraverso sette bellissime fanciulle, le sette cose più preziose che possedevano: ricotta (l'abbondanza), grano cotto nel latte (l'unione tra i prodotti della terra), fiori d`arancio(il profumo della terra campana), farina (la ricchezza), uova (la fertilità), spezie (l'unione dei popoli) e zucchero(la dolcezza del canto). La sirena ne fu estasiata. Depose allora i doni ai piedi degli dei, i quali, stupiti dal bellissimo gesto, decisero di impastarli assieme ottenendo così un dolce ottimo e profumatissimo.
Pare che questo dolce abbia anche fatto un piccolo "miracolo": si dice che la regina Maria Teresa non sorridesse mai, ma che solo dopo avere assaggiato la pastiera offertale dal marito Ferdinando II si fece scappare un sorriso.
Si dice che le monache avessero un loro modo particolare di lavorare la pasta: veniva scelta la più formosa, la quale si sedeva sopra all'impasto, messo sui sedili di marmo del chiostro. Essa vi si dimenava per diverso tempo ed in modo ritmico, mentre recitava le preghiere quotidiane...

© Monica Taddia
Immagine: I mangiatori di patate - Vincent Van Gogh

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