giovedì 21 marzo 2013

Le streghe dello Sciliar

Anche la zona dello Sciliar in Trentino ha una storia ricca di fascino. Di fascino e di stregoneria.

Testimonati da numerosi documenti storici, i nove processi svoltisi nel tribunale di Fiè tra il 1506 e il 1510 contro le streghe, sono tra i più antichi di tutta la storia tirolese.
La corte, presieduta da Leonhard von Völs,vide processare e giustiziate nove donne (chi al rogo e chi allo squartamento), accusate, come sempre, di essere le fautrici di maledizioni volte all'intera popolazione o a singoli individui.
Era nei pressi della Bullaccia che le streghe di tutta la zona usavano riunirsi per partire alla volta dei Sabba o per celebrare i propri riti: sono ancora ben visibili quelle che  vengono chiamate "le sedie e le panche delle Streghe" (Hexenstügle e Hexenbänke). Sopra queste panchine era solita sedersi la strega più anziana ed autorevole di tutte ad ammirare il panorama.

E sempre su queste panchine, le streghe invocavano le tempeste più violente di tutte: se non fosse stato possibile far suonare le campane prima della fine del loro rituale, un temporale infernale si sarebbe scatenato provocando danni tremendi.

Il trono di roccia dolomitica è diviso a metà e prende la forma di due sedie gigantesche sedie di roccia. Gli scienziati hanno trovato trovato naturalissima questa disposizione rocciosa ma tuttavia singolare nel suo essere. Si presuppone si sia trattato in passato di un antico luogo di culto di divinità femminili neolitiche.

Pare che non sia affatto consigliabile recarsi a mezzanotte in punto sul punto più alto dello Sciliar, il Petz: pare che tutt'ora lassù si tengano i ritrovi e le feste delle streghe, e a nessun essere umano è dato assistervi... Rischierebbe di impazzire.

Ed infatti, le streghe del luogo, hanno il potere di fare impazzire chiunque, come narra la leggenda del povero Hansel: l'uomo viveva in un maso ai piedi dello Sciliar assieme alla moglie. Una sera d'estate, mentre la donna attingeva acqua al pozzo, si accorse di una strana energia nell'aria: prevedendo un temporale, alzò gli occhi al cielo e, tra le nubi, vide un'ombra volteggiare. Chiamò il marito, il quale, precipitatosi alla finestra, vide la strega, imbracciò il fucile e le sparò, centrandola in pieno. La donna cadde morta proprio davanti alla casa di Hansel. Era talmente brutta che Hansel svenne dal terrore. Da allora, ogni notte di tempesta, il povero contadino prese l'abitudine di chiudersi ben bene in casa per evitare di avere altri incontri simili...

A San Valentino allo Sciliar, visse invece un famosissimo stregone, tale Hans Kachler. Un uomo dallo sguardo cupo, che pare avesse rapporti moltro stretti non solo con le streghe ma addirittura con il diavolo in persona. Era capace di compiere magie incredibili ed era dotato di una forza incredibile. Proprio per questo gli abitanti di San Valentino lo rispettavano, pieni di timore. Sembra che il Tchanstein, l'enorme pietra che si trova in mezzo ai prati, sia stata scagliata da lui dal Monte Petz in un momento di rabbia.

In località Saltria vivevano le "streghe del burro": due donne che vivevano di elemosina e che erano capaci di guarire o infierire malattie a proprio piacimento, colpendo sia animali che esseri umani. Una di loro, Tschelmerin di Piè di sotto, era gobba e non aveva marito, mentre l'altra, Kneppin, era sposata con un ex operaio di miniera. I tiri delle due streghe erano molto temuti dagli abitanti del luogo.

Un giorno, mentre la contadina del maso Platider era intenta a fare il burro, le due streghe decisero di farle uno scherzo, trasformando il burro in un bruttissimo topo. Di questa leggenda, ci rimane in ricordo un intarsio in legno che si trova tutt'ora a pochi passi dalla stazione alta della seggiovia Florian.
Secondo altre leggende circolanti nell'Alpe di Siusi, le streghe dello Sciliar (che vengono chiamate Aiguana) furono donne molto belle e pie, dedicatesi alla forza magica dell'acqua, e abili a curare le malattie grandi e piccole. Erano le guardiane delle sorgenti e dei ruscelli, e conoscevano e curavano personalmente le erbe che crescevano sulle loro rive.

©Monica Taddia

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