Venezia, 25 febbraio 1342. Era una notte buia, fredda, di burrasca. "L'acqua cressie zerca cinque pie, plui major che se arichordasse guastando pozzi infiniti et molti restono anegati ne le case, o morti dal fresco": questo è il ricordo che ce ne viene trasmesso dai cronisti dell'epoca.
Proprio quella notte, sulla Riva degli Schiavoni, un pescatore stava legando la propria barca ad una briccola, onde far ritorno alla propria dimora. All'improvviso un uomo in età avanzata gli si avvicinò chiedendogli urgentemente un passaggio verso l'Isola di San Giorgio.
"Si tratta di una questione di vita o di morte" spiegò.
Il pescatore, pur stupito, decise di accettare l'incarico. E nonostante il tempo stesse notevolmente peggiorando, facendosi forza, giunse all'isola. Qui lo sconosciuto scese dalla barca e dopo aver chiesto al suo traghettatore d'attenderlo, si recò all'interno della chiesa di San Giorgio Maggiore, dalla quale uscì poco dopo assieme ad un giovane che aveva tutta l'aria d'essere un guerriero.
Entrambi chiesero al pescatore di accompagnarli al Lido e, di nuovo, questi accettò, probabilmente ancor più sbalordito di prima.
Ed ecco che al Lido, sotto violenti scrosci di pioggia, i due sconosciuti entrarono a San Nicolò, per poi uscirne con una terza persona e chiedere al pescatore di accompagnarli in mare aperto.
Ormai quest'ultimo era preso da una specie di euforia, quasi ad esser ben deciso di arrivar dritto in fondo alla faccenda.
Non appena i tre uomini montarono in barca, improvvisamente, la pioggia cessò, il mare si calmò, la laguna divenne silenziosa. Nella notte illuminata dalle saette, ben presto si ritrovarono al largo.
Di colpo un lampo illuminò qualcosa di spettrale: un galeone infuocato e carico di diavoli neri come la pece. Le onde divennero altissime.
Allora l'uomo più anziano si pose a prua, mentre la barca del pescatore si fermava sulla cima dell'onda più alta, e con un segno della croce ordinò agli spiriti maligni di andarsene.
Presto una voragine si aprì proprio in mezzo al mare, inghiottendo al suo interno il galeone e i suoi malefici passeggeri. E quando tutto fu nuovamente calmo, avvicinandosi al pescatore, l'anziano rivelò la sua identità: egli altri non era che San Marco, mentre i suoi compagni erano San Giorgio e San Nicolò. I tre protettori di Venezia s'erano riuniti mossi a pietà dalle continue preghiere dei veneziani, onde salvarli da un maremoto provocato dalla maledizione di un misterioso Maestro di Scuola appartenente ad una delle più potenti Confraternite veneziane.
Secondo alcuni cronisti dell'epoca- tra cui Sabellico - si scoprì nel giro di poche ore che tal maestro, l'alchimista Messer Simonetto, era di San Felice e quella stessa notte "sia sta trovado apichado per la gola con una centura".
A seguito delle proprie spiegazioni, San Marco donò un anello al pescatore, chiedendogli di consegnarlo al Doge e promettendo che, assieme ai suoi due compagni, avrebbero protetto Venezia da ogni avversità futura.
Non fu facile per il pescatore farsi ricevere dal Doge, ma quando riuscì nella propria impresa, Bartolomeo Gardenigo riconobbe il prezioso anello di San Marco, del quale era stata denunciata la scomparsa dalla Basilica proprio alcuni giorni addietro.
Il pescatore venne ricompensato con una ricca pensione e per tutta la vita non potè fare a meno di pensare a quella notte di tempesta in cui anche grazie a lui la città di Venezia fu salvata dalle forze del male.
Di questa leggenda esistono diverse varianti: alcuni l'ambientano due anni prima, altri concordano sul fatto che il terzo santo non fosse Nicolò bensì Teodoro. Di essa si celebra però il ricordo anche attraverso l'arte. Nel Cinquecento, il pittore veneziano Paris Bodoni dipinse "Consegna dell'anello al Doge", ora conservato alle Gallerie dell'Accademia di Venezia, mentre all'interno della Basilica di San Marco è conservato un arazzo del fiammingo Jan Rost dedicato alle storie del santo.
Immagine: Consegna dell'anello al Doge, Paris Bordon, 1534
© Monica Taddia
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