martedì 10 maggio 2016

Il fantasma di Maria d'Avalos

Piangete, o Grazie, e voi piangete, o Amori,
  Feri trofei di morte, e fere spoglie
  Di bella coppia, cui n’ invidia e toglie,
  E negre pompe e tenebrosi orrori.
Piangete, o Ninfe, e ‘n lei versate i fiori,
  Pinti d’antichi lai l’umide foglie;
  E tutte voi, che le pietose doglie
  Stillate a prova, e i lacrimosi odori.
  Piangete, Erato, e Clio, l’orribil caso;
 E sparga in flebil suono amaro pianto,
 In vece d’acque dolci, omai Parnaso.
  Piangi, Napoli mesta, in bruno manto,
Di beltà, di virtù l’oscuro caso;
E 'n lutto l'armonia rivolga il canto.

Alme leggiadre a maraviglia, e belle,
Che soffriste morendo aspro martiro,
Se morte, amor, fortuna, il Ciel v’uniro,
Nulla più vi divide, e più vi svelle;
Ma, quai raggi congiunti, o pur facelle 
     D'immortale splendor nel terzo giro,
 Già  fiammeggiate; e del gentil desiro
Son più lucenti le serene stelle.
Anzi è di vostra colpa il Cielo adorno,
 ( Se pur è colpa in duo cortesi amanti )
Fatto più bello all'amoroso scorno.
Chi biasma il vostro error ne' tristi pianti,
    Incolpi il Sol, che ne condusse il giorno,
    Ch'in tal guisa fallir le stelle erranti.
In morte di due nobilissimi amanti - Torquato Tasso

La triste storia di Maria d'Avalos mosse a compassione addirittura Torquato Tasso, il quale ne immortalò per sempre il ricordo attraverso il sonetto "In morte di due nobilissimi amanti".

Ella non ebbe molta fortuna nonostante fosse conosciuta come "la donna più bella di Napoli". Dopo due matrimoni finiti, venne data in sposa al cugino Carlo Gesualdo, principe di Venosa, in modo che il patrimonio familiare non andasse disperso. L'ennesimo matrimonio combinato per interesse e che solo grazie ad un permesso ottenuto tramite apposita bolla papale potè essere celebrato.
Carlo Gesualdo, più giovane di lei di cinque anni, era un compositore di madrigali, innamorato della musica e dalla mente geniale. Uomo brillante, insomma, ma estremamente geloso ed ossessivo e, a quanto si dice, nemmeno molto attraente. 
Con simili presupposti, che Maria d'Avalos finisse per invaghirsi di un altro fu pressoché inevitabile e, ben presto, sia la nobiltà sia gran parte del popolo iniziarono a commentare questo chiacchierata nuova storia d'amore tra la bella Maria e Fabrizio Carafa, duca d'Andria e conte di Ruvo. 

In principio Carlo Gesualdo non badò troppo alle malelingue ma dovette ricredersi quando queste iniziarono ad essere sempre più insistenti e uno dei suoi più fidati servi gli riferì che la moglie non era quella santa che pareva voler essere. 
Roso dal tarlo della gelosia e del sospetto, il principe di Venosa annunciò alla d'Avalos che si sarebbe recato ad una battuta di caccia e che sarebbe rimasto fuori zona per diverso tempo: in realtà la battuta durò una sola giornata ed egli rientrò la notte stessa, con la speranza di cogliere in fragrante la fedifraga moglie. 

Fu così che la notte del 17 ottobre 1590 all'interno di Palazzo Sangro,dimora di Carlo Gesualdo e Maria, i due amanti, colti in atto di adulterio, vennero uccisi  a pugnalate: non è dato sapere se sia stato l'uomo tradito o, come altri dicono, alcuni scagnozzi da lui assoldati. Quello che sappiam per certo, grazie ad un documento redatto dall'ambasciatore veneto ed inviato al senato il 19 ottobre 1590, è che il primo ad essere stato ucciso sia stato Fabrizio Carafa.

Solamente il figlioletto Emanuele venne risparmiato da questa follia, nonostante in molti ritenessero assomigliasse più a Carafa che non al principe di Venosa. Emanuele, dopo molti anni, riuscirà a perdonare il tremendo gesto del padre: questo fatto verrà ricordato in un quadro di Giovanni Balducci del 1609 intitolato "Il perdono di Carlo Gesualdo" e si trova, ora, nella chiesa di Santa Maria delle Grazie. 

Carlo Gesualdo decise di andarsene da Napoli, non tanto per timore dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria quanto per evitare ritorsioni causate dal risentimento della famiglia. Interruppe inoltre bruscamente la propria amicizia con il poeta Torquato Tasso, avendo saputo che anch'egli conosceva il segreto della moglie. 

Si narra che il corpo di Maria d'Avalos non sia stato rispettato nemmeno dopo la morte: esposto nella chiesa di San Domenico Maggiore, prima d'esser sepolto assieme a quello dell'amante in un'arca monumentale, venne preso di mira da un domenicano che ne abusò senza ritegno alcuno. Ma sono voci. Le stesse voci che, probabilmente, affermarono di aver visto vagare nei pressi del palazzo, nelle notti seguenti, il fantasma di una donna le cui urla agghiaccianti erano ben udibili fino a non molti decenni fa a chi abitava nei pressi del palazzo o anche solo vi si avvicinava. Quando nel 1889 crollò l'ala del palazzo in cui venne commesso l'omicidio, la maledizione che da sette generazioni gravava sulla famiglia di Carlo e Maria, pare essersi spezzata. 
Dopo il crollo, il fantasma di Maria è stato visto di nuovo: si aggira nei pressi del portale del palazzo di Sangro o in quelli dell'Obelisco di San Domenico Maggiore. Continua ad urlare e piangere, senza pace. Ma chi è riuscito a vederla dice che è ancora una donna bellissima.

Quando negli anni Novanta l'Università di Pisa ricevette l'incarico di scoperchiare le arche in cui vennero sepolti i due amanti si trovò di fronte ad un caso curioso: del corpo della bella Maria non era rimasta alcuna traccia. 

© Monica Taddia
Immagine: Il perdono di Carlo Gesualdo, Giovanni Bladucci

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