Un vero amore è come un fuoco a fiamma perenne: una fiamma che si eleva al cielo e non si spegne mai, qualunque sia il vento che le passa accanto.
Liala - Passione lontana
Amalia Liana Negretti Odescalchi nacque a Carate Lario il 3 marzo 1897 da famiglia benestante: il padre, farmacista, venne purtroppo a mancare quando lei era ancora bambina; la madre era, invece, un'insegnate. I panorami delicati del Lago di Como faranno spesso da cornice ai suoi romanzi: ad essi fu sempre profondamente legata, ricordando con affetto le lunghe uscite sulla propria barchetta battezzata col semplice e dolce nome di Mia.
Sin da piccola nutrì una fortissima passione per il mondo dell'aviazione, tanto che quand'ancora era una giovane studentessa fece di tutto per metter da parte cento lire ed effettuare un volo sull'idrovolante del capitano Londini: per questa somma l'uomo dava la possibilità, a chi ne fosse intenzionato, di provare l'ebrezza dell'aria.
Quando la madre venne a saperlo non vide certo di buon occhio la cosa e, anzi, le diede pure un sonoro ceffone in risposta. Eppure questo non impedì ad Amalia di frequentare aeroporti e conoscere aviatori, una volta esonerata dalla tutela materna.
Giovanissima, si unì in matrimonio a Pompeo Cambiasi, un ufficiale di marina. Da lui ebbe due figlie, Primavera e Serenella, ma questo matrimonio si interruppe dopo poco tempo, giocoforza anche la differenza d'età - Cambiasi aveva 17 anni più di lei -.
In seguito alla separazione, Liala s'innamorò del marchese Vittorio Centurione Scotto, ufficiale della Regia Areonautica. Fu un amore intenso, meraviglioso, passionale ma, soprattutto, vero. Quello che capita una sola volta nella vita, come nelle favole. Purtroppo nel 1926 l'ufficiale venne a mancare in seguito ad un incidente avvenuto durante gli allenamenti per la Coppa Schneider, al comando del proprio idrovolante. Quello stesso giorno Liala si trovava a Budapest per ottenere la cittadinanza ungherese e, di conseguenza, il divorzio da Cambiasi. Ebbe un'incidente d'auto all'incirca alla stessa ora che fu fatale a Vittorio.
Cambiasi tentò di starle vicino il più possibile, tanto da domandarle di tornare con lui, proposta che solo in seguito venne accettata dalla scrittrice. Ma entrambi sapevano che il ricordo di Vittorio non avrebbe mai potuto essere cancellato.
Per poter superare il suo dolore Liala decise di iniziare a scrivere. Il suo primo romanzo fu Signorsì, dove il protagonista maschile ricalcava in diversi punti proprio la figura dell'amato scomparso. Ne presentò una copia non conclusa all'editore Mondadori chiedendogli di leggerla e proponendogli: "Se le piace lo finisco". Mondadori accettò la piccola "sfida" e non se ne pentì.
Fu, questo, il romanzo che la consacrò ad autrice di veri e propri best seller e che le aprì le porte del Vittoriale di D'Annunzio. Proprio lui le donò lo pseudonimo che utilizzò, poi, per tutta la vita: voleva che il nome di lei contenesse la parola «ala», simbolo sia dell'aviazione e del cielo, sia di libertà pura ed incontaminata.
Non fu l'unico suo dono: per tutta la vita Liala conservò quali suoi preziosi regali l'occhio dell'aviatore - una spilla fermacravatta che solamente gli aviatori più meritevoli potevano indossare - ed una fotografia con dedica:
"A Liala compagna d'ali e
d'insolenze".
Una donna che, a dir del Vate, parla così bene d'aviazione, valeva la pena d'esser conosciuta. Così come val la pena esser conosciuta anche ai giorni nostri.
Perchè Liala non è una scrittrice rosa i cui libri vanno - cosa che purtroppo accade sovente - relegati negli scaffali dei romanzi Harmony: a lei spetta di diritto un posto tra i grandi nomi della letteratura italiana del Novecento.
Il modo di scrivere di Liala, la sua ricercatezza nel delineare personaggi autentici, a differenza delle eroine dei romanzi suoi contemporanei, la sua passione per l'areonautica che diviene sfondo della maggior parte delle sue produzioni letterarie, la denuncia più o meno velata della condizione o della corruzione femminili fecero di lei un vero e proprio caso editoriale.
Negli anni Sessanta le cose cambiarono: progressivamente l'autrice iniziò ad abbandonare la tematica dell'aviazione e concentrarsi soprattutto sulla tematica dell'educazione sentimentale femminile: violenza domestica, amore interraziale, divorzio, aborto furono gli argomenti scottanti che non piacquero affatto alla Chiesa, la quale giudicò le sue opere letterarie immorali.
Eppure Liala nutrì un forte rispetto nei confronti delle figure sacerdotali, tanto da far trovare loro posto in parecchi suoi romanzi. In Settecorna, ad esempio, ci viene presentato Don Giuseppe, figura realmente esistita: cappellano dell'aeroporto di Orbetello, amava mescolarsi alla vita dei militari d'aviazione, risultando essere un buon amico, confidente e consigliere.
Ne L'ora placida abbiamo a che fare, invece, con Don Egidio, ritratto di un compagno di liceo che riuscì a farsi sacerdote nonostante le opposizioni della famiglia.
Ma suo carissimo amico fu per più di trent'anni Padre Michele Todde, il frate francescano che durante la Seconda Guerra Mondiale contribuì alla salvezza di moltissimi ebrei. Fu lui il suo padre spirituale, al quale lei non ebbe mai il coraggio di chiedere il motivo che lo spinse ad intraprendere questa strada.
I protagonisti maschili delle opere di Liala hanno in comune patriottismo ed autoritarietà: del resto incarnano il suo ideale di uomo alto, forte, intelligente e "con fegato da vendere". Tuttavia queste descrizioni contribuirono a renderla un
simbolo femminile della cultura fascista italiana. Non che a lei la cosa potesse dispiacere, eppure i suoi romanzi non vennero scritti certo per propaganda politica: a parte in alcuni casi, del resto, le sue storie non vennero mai collocate in un'epoca precisa.
Le protagoniste femminili meritano, invece, un discorso a sè stante. Liala si propone come educatrice sentimentale: non puo' soffrire le donnicciole male educate e corrotte. Quando una delle sue eroine commette qualcosa di sbagliato pecca due volte: contro sè stessa ma anche contro la natura, in quanto la donna dovrebbe essere una dispensatrice di serenità ed amore, di vita e di pace.
Questo è, in realtà, l'insegnamento che Liala propone: le sue pagine tendono a raccogliere consigli pratici di buone maniere. La donna dev'essere piacevole (esteriormente) ed educata, ma soprattutto deve essere attenta alla propria igiene personale. Questo particolare può far sorridere, eppure, a quanto pare, all'epoca non doveva essere una tematica così scontata! Alla luce di ciò vengono immessi costantemente riferimenti particolareggiati in merito alla toelettatura, ai profumi, ai capi di abbigliamento.
Viene inoltre messo su carta un altro grande tabù, senza mai cadere nel vogare: quello del desiderio femminile, una rivincita della sessualità fino ad allora quasi del tutto negata alle donne.
Gusto estetico, garbo ed amore per la lingua italiana accomunano il suo stile narrativo, sebbene in modo differente, a quello di D'Annunzio. Eppure, "Da lui non ho preso niente, tranne che lui mi ha detto Mi raccomando! Imagine scrivetela sempre con una emme sola, e io scrivo imagine, imaginare, imaginifico, s'imagini lei, per quel che m'importa!" (Tratto da L'amore è una budella gentile, durante l'intervista concessa ad Aldo Busi in occasione del proprio novantesimo compleanno).
Il 4 marzo 1977 fu insignita della Croce di Dama dell'ordine della Corona
d'Italia da Umberto II, con il quale iniziò una mai interrotta corrispondenza epistolare nel 1946.
"Il mio miglior romanzo è la mia vita" dichiarava spesso nelle interviste questa donna che amava dare alle proprie eroine (e, a volte, anche agli eroi) i nomi dei cavalli che trovava scritti nelle riviste di ippica e che teneva nel suo studio due modellini d'idrovolanti, una vecchia elica di legno ed una copia di Ali ed Alati di Roberto Fumagalli cui aveva dato l'affettuoso epiteto di "il mio breviario" (cit. Pietro Mormino, L'ala d'Italia).
Liala trascorse gli ultimi suoi anni nella tenuta La Cucciola, nei pressi di Varese, acquistata con il ricavato di vendita dei suoi romanzi. L'ultimo pubblicato fu Frantumi di arcobaleno, edito nel 1985.
Dovette porre la parola fine alla sua carriera di scrittrice a causa di
una malattia agli occhi, ma alcuni dei suoi romanzi incompiuti furono conclusi ed uscirono postumi diversi anni più tardi.
Morì a Varese il 15 aprile 1995: come da testamento chiese d'essere sepolta con un paio di scarpette dorate ed un vestito elegante color avorio ed oro. Forse proprio per farsi trovare bella e perfetta quando, finalmente, avrebbe potuto riabbracciare il suo amato Vittorio. Ed è così che fa piacere, ora, pensarla: tra le nuvole, in cielo, tra le braccia del suo unico, vero, grande amore.
© Monica Taddia
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