Di Tzia Maria Durgalesa, nativa del
nuorese, parla Natalino Piras nel suo libro "Brujas: storie di streghe".
Pare che fosse una delle più potenti "streghe" di tutta la Sardegna.
Leggiamo che un giorno le venne portato un bambino affetto da malaria,
che i medici avevano ormai diagnosticato in fin di vita, ma che lei
riuscì miracolosamente a guarire grazie ad erbe e preghiere.
Nello stesso libro, facciamo anche la
conoscenza di Segnos Tomas, un prete dall'aspetto corpulento e dal
carattere deciso e combattivo. Si dice ch'egli non avrebbe temuto
nemmeno il diavolo in persona: un giorno venne assalito da un gruppo di
banditi mentre viaggiava in carrozza, diretto verso una missione, e per
allontanarli iniziò a sparargli senza perdere troppo tempo.
Operava a korfos de libro (colpi di
libro), ovvero usando come "formule magiche" i passi della Bibbia. Una
volta un ladro picaro tosò il suo cavallo per far del suo crine alcune
funi: "magicamente" la domenica successiva si ritrovò alla messa
principale, confessandosi davanti all'intera comunità davanti all'altare
maggiore.
Scrive Giovanni Dettori, su un vecchio numero de "L'Unione Sarda" :
Conservo un ricordo preciso,
indelebile perché fatto memoria, di malattie infantili: pertossi e
malarie. Di medici e cure: diventate forse, ora, la più incurabile delle
malattie dei nostri giorni. Con la superstizione delle USL, le analisi e
le psicoterapie senza fine, l'ospedalizzazione coatta per nascere e per
morire, gli effetti collaterali, i malanni da farmaci. Dimenticandoci
ogni volta e sempre che, come ben sapevano i nostri vecchi, forse mai
nulla è nel corpo che non sia, prima, anche nell'anima. E che non si
muore perché ci si ammala. Ci si ammala perché bisogna, 'si deve'
necessariamente morire. Forse anche in quei casi che passano per
'incidenti', quando l'anima sente e sa di doversi accomiatare dal corpo.
Perché tutto ciò che accade, accade 'necessariamente'... E tutto è
Uno.Cent'anni di psicoterapia e il mondo va sempre peggio, titola un suo
libro James Hillman. Oltre settant'anni di 'ricerca' mirata a scovare
un veleno cellulare a tropismo selettivo per i tessuti tumorali, restano
ad oggi e resteranno sterili. Una letteratura sterminata sulla cellula
cancerosa, sul tessuto canceroso... e pochi lavori insignificanti
sull''uomo cancerizzato', sull'uomo malato di cancro. Smarrito ormai il
nesso profondo tra l'anima individuale e l''Anima Mundi' che l'uomo del
Rinascimento ancora conosce e rispetta, la medicina medicina 'moderna'
si è fatta ed è rimasta cartesiana:more geometrico demonstrata .
Ostinandosi sulle singolarità, guardando solo al soggetto e
dimenticando il resto. Le connessioni col tutto: fattori sociali,
degrado ambientale e urbano, intossicazioni da media... L'uomo malato,
passivizzato, frustrato, latentemente desideroso di morte è stato così
sempre pi` circoscritto immiserito e ridotto all'organo sofferente: rene
fegato cuore cellula cancerosa, tessuto canceroso. E le stesse cure
diventate sovente più terrificanti del male.Ancora negli anni della mia
infanzia, vivevano nei nostri paesi donne e uomini - ma soprattutto
donne - che Giordano Bruno avrebbe amato e come lui, appena qualche
secolo addietro e altrove, avrebbero sicuramente assaporato le delizie e
le estasi salvifiche del rogo. 'Sas brussas', le streghe conoscevano
ancora la chiave strategica per 'aprire' le cose, senza mai forzarle.
Ancora l'occhio capace di guardare e osservare il mistero delle erbe, i
segreti di una corteccia d'albero, gli arcani di una pietra. Sorelle
d'anima dei 'mèntor' antillani dei quali racconta Patrick Chamoiseau inTexaco
.Sanavano carie dentarie: Tziu Beccari. Adagiavano empiastri
'miracolosi' a lenire scottature e ascessi, olii di balsamo a spegnere e
incenerire le arsure dei 'fuochi-di-sant'antonio'. Ricamavano 'pungas' e
'rettsettas' in grado di acceccare 's'okrumalu', beveraggi e filtri per
ogni pena d'amore, ogni persistente sterilità... Non sempre funzionava.
Fu così che, alla fine, i miei decisero di affidare a 'Tzia Maria
durgalesa', a un suo 'affumentu', la mia proterva pertosse. Non prima,
s'intende, di averla sottoposta alle mai univoche diagnosi e sempre
differenti terapie dei tre 'medici' di Bitti, alle polverine
alchemicamente combinate in candide ostie ripiegate a regola d'arte -
alchemica - dal 'buttechariu' di fiducia.La mia pertosse se ne rise:
continuò a squassarmi come una pianta malnata e malcresciuta sotto i
colpi del maestrale... Che anni potevo avere? Certo meno di cinque:
perché poi ilmaelstrom della tosse venne rimpiazzato dalla malaria. Un cranio rasato a zero, giallo come un campo crepato dalla sete -color'
'e pede astore - si sarebbe avvicendato per qualche anno alla garrota
della tosse. Fu così che, nell'antro della 'brùssa' venne officiato
's'affumentu'. A nulla erano serviti, fino a quel giorno, polverine e
impacchi di 'semene de linu' che dottor Linu - nomen omen -
invariabilmente, inesorabilmente, faceva sbollentare sopra ogni nostro
malanno. Con incontenibili querimonie di parenti e paziente di fronte
alla perfetta refrattarietà della malattia di turno a decidersi a
scomparire, del morbo ad ammorbidirsi.Due occhi miti perdutamente
interrogativi, perdutamente senza possibile difesa di fronte al Male
dell'universo, dottor Linu aveva invano proposto e fino alla propria
capitolazione finale opposto il suo balsamo alla mia tosse: il seme di
lino.- Ite bos ne paret: un'imbrastiu de semene de linu?...- E ite nos
ne paret... si no lu idites Vois...Non restava altra carta da giocare
alla sua medicina - che poi proprio cartesiana del tutto non era - che
dichiarare la propria impotenza la propria resa e il proprio fallimento.
Consegnandomi al fondaco diTzia Maria durgalesa . Dove la
'scienza' falliva, avrebbe soccorso la magia, 'sas artes' di una
'brussa' di incontestata reputazione: sia pure senza carte di diploma
alla parete. Ma naturale frequentatrice dell'Anima del Mondo...E i miei
decisero: forse appena in tempo, prima di essere sradicato dall'ultima
raffica di tosse. Permane di quel giorno, come una visione, questa
estrema corsa in 'clinica': dalla casa di 'Santumichelli', ultimo
avamposto di 'Cadone', al lastricato del corso, quasi soffocando sotto
una 'vressata'. Tre gradini di pietra all'altro lato della barbieria di
Tziu Pretumarìa. Una porta tanto per significare che c'era, eternamente
aperta, il tavolato, l'unica stanza, il quadrato in pietra del focolare
al centro sotto un cannicciatoannerito d'inferni, la tegola sbreccata,
già pronta, sopra la quale si sarebbe deciso delle mie vie
respiratorie...Sopra la tegola erbe prendono fuoco senza fiamma.
'S'affumentu' attende soltanto il mio inalare tra squassamenti rantoli
sibili, sulle ginocchia che sono appena rotule e pelle. Una coltre nera
mi nasconde per un tempo senza fine. Il fumo soffoca quasi, mentre
lavora a sturare e liberare il mantice del respiro. Tempo senza fine...
'Tzia Maria durgalesa' si aggira senza posa attorno alle quattro pietre,
al fumo, alle mie rotule, al mio respiro. Salmodia parole di un altro
mondo. Mai sentite, mai sapute prima. Mai sapute dopo.- E sono salvo.
Avrei continuato a respirare.Ho conosciuto altri 'mentor' nella mia
infanzia. Ne ho avuto la fortuna. Insospettabili sempre: tra medicina e
magia, tra 'religione' e magia. Un prete corpulento dentro una lisa
tonaca nera: Bernanos lo avrebbe certo amato per la sua disarmata
certezza di 'grazia'. E in lui tutto era grazia, perché osservata e
saputa in ogni cosa. Grazia nel suo volto devastato dal vaiolo, nei suoi
occhi di nuvola in perenne transumanza: occhi che negli anni giovanili
ebbero dimestichezza con il grilletto di una pistola forse più che con i
versetti delle sacre scritture. Grazia nel suo orecchio paziente dentro
il quale, dietro la grata di un confessionale o a cielo aperto che
fosse, riversavamo l'intero 'male' della nostra pressoch! inesistente e
fragile carne adolescente.Quelle eruzioni cutanee, quei crateri,
ascoltavano pazienti e ci assolvevano sempre: 'tres babbosnòstros, tres
avemmarias, tres groriapatres a su Koro 'e Gesus... Vae in bon'ora e non
bi torres prusu'. Ma ci ritornavamo. Ci saremo ritornati sempre... Il
rosario penitenziale del 'tres-pro-tres' era la sua cura per i malanni
dell'anima come per le 'infamie' del corpo: masturbazioni più che altro,
una melagrana sottratta all'orto di 'Tziu Barbetta', una lattuga, due
fichi, un raspo d'uva. Una cura, lo sapeva, che con nessun adolescente
avrebbe mai funzionato.Almeno non quanto infallibilmente funzionavano -
per furti di bestiame, sgarrettamenti, 'irrobatorios' di formaggi e
salsicce all'ordine del giorno nell'immediato dopoguerra - i suoi
micidiali 'korfos-de-libru', con i quali 'Segnor Tomas' inchiodava anime
e corpi: Segnor Tomas per tutti. E mai 'don' Tomas... Un grande
'mentor' anche lui. A modo suo.Ho conosciuto altre magie. La magia della
notte di San Giovanni: i fuochi i giunchi il fiume le promesse i
giuramenti i nodi... 'in numene de deus e de santu juanne'. Già
scomparsi, inghiottiti, nei miei anni, i riti dell''argia', il lamento
delle 'attitatoras' e la tragica magia del loro pianto 'cuerpo presente
alma a usente'. Conserverò nella memoria che si tramanda, il loro canto,
sempre...
Monica Taddia
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