martedì 21 giugno 2016

Il manicomio di Mombello a Limbiate

Conosciuto come "il manicomio di Mombello", l'ex Istituto di Cura Antonini è un reperto archeologico moderno a cielo aperto. Giungere dinnanzi all'entrata e trovarsi di fronte a una guardiola abbandonata in evidente stato di degrado e vandalismo è un chiaro biglietto da visita rispetto a ciò che troveremo all'interno di questa struttura. Eppure, quel che fino a una trentina d'anni fa era uno dei poli ospedalieri più conosciuti e rinomati d'Italia, in parte sopravvive. Alcuni dei vecchi padiglioni sono stati, infatti, riqualificati: ne è un esempio lampante la villa Arconati-Crivelli in cui, ora, ha sede l'Istituto Agrario. Anche il giardino e l'oratorio di San Francesco (ove si sposarono Elisa e Paolina, celebri sorelle di Napoleone Bonaparte) sono stati recentemente riavviati verso gli illustri splendori. 
Non è difficile immaginare il motivo per cui la collina di Mombello sia stata così soprannominata (il toponimo è un'abbreviazione di Monte Bello):dal retro di Villa Arconati-Crivelli si ha una splendida panoramica del paesaggio circostante. 

Ma quel che attira è la parte più "oscura" di Mombello. Quella rinchiusa all'interno di edifici le cui porte sono state lasciate aperte e che, nonostante i vari segnali di pericolo di crollo e fasciature edili, in un modo o nell'altro continua a respirare. Morbosamente. Di giorno, per lo più, grazie ad appassionati di urbex, semplici curiosi o writers alla ricerca di un nuovo muro su cui esprimere la propria arte. Di notte diviene, invece, il regno di senzatetto, tossicodipendenti e prostitute.

L'ospedale psichiatrico prese il nome da Giuseppe Antonini, direttore dal 1911 al 1931, un vero e proprio innovatore nella cura delle malattie mentali. Fu infatti lui a sperimentare percorsi riabilitativi comprendenti l'ausilio della musica, dell'arte e dell'attività fisica, volti principalmente alla reintegrazione societaria e a uno stile di vita più consono per coloro che soggiornavano all'interno di queste mura. 
La storia dell'istituto però risale all'agosto del 1865 quando, a causa del sovraffollamento della Senavra (il manicomio di Milano) e di uno scoppio epidemico di colera, una sessantina di malati venne trasferita all'interno Villa Pusterla-Crivelli. Vennero, quindi, iniziati lavori di adeguazione e ristrutturazione, compiutisi del tutto solo un paio di anni più tardi, nell'ottobre del 1867. A tale data gli ospiti erano 300: 150 uomini e 150 donne debitamente divisi. Pian piano quello racchiuso all'interno del parco divenne un vero e proprio villaggio grazie alla costruzione di nuovi padiglioni, ognuno con una differente funzione. Non solo meri ospedali, quindi, ma anche laboratori scientifici, cucine, una sartoria, una tipografia e molto altro ancora. Tutto ciò rese Mombello unico nel suo genere. 
All'epoca i degenti non erano suddivisi in base al tipo di patologia, bensì per comportamento: "tranquilli", "agitati", "sudici", "lavoratori" erano solo alcune di queste categorie, ognuna delle quali aveva un padiglione o un reparto dedicato. Gli "agitati", però, erano internati al "Campo della Palma": di questo non rimangono altro che un campo ed un cancello laddove si trovava una struttura ormai non più esistente. 
I degenti più "tranquilli" potevano godere di una specie di libertà "vigiliata" e, a volte, venivano portati a passeggio fuori dalle mura delle strutture. Allora gli abitanti del paese, per impaurire i bambini, additavano quelle file di uomini e donne vestiti con tristi casacche grigie, intimando loro: "Se non ti comporti bene ti mando dai matti di Mombello!".

Nel 1978, a seguito della Legge Basaglia, a poco a poco tutti i manicomi italiani iniziarono a chiudere. Quello di Mombello venne prima riconvertito e, infine, chiuso del tutto nel 1999. 

Purtroppo cio' che rimane ora delle strutture "visitabili" di Mombello è stato quasi del tutto distrutto a causa di un vandalismo massiccio e controproducente: se, da una parte, il fascino di una natura che si sta riappropriando dei suoi spazi da luogo a scene mozzafiato, dall'altra diventa quasi impossibile muoversi con sicurezza tra un corridoio e l'altro a causa dello strato di vetri infranti che ricopre i pavimenti. 
Impossibile dire se questo sia un luogo di "fantasmi". Sicuramente è stato un luogo di profonda sofferenza, tutt'ora percepibile con una lieve sensazione di angoscia o tristezza. Tante sono le leggende legate a questo posto, seppur non abbiano ritrovato riscontro storico. C'è chi dice che di notte vi siano presenze inquietanti, chi dice di essersi sentito "gli occhi puntati addosso" durante la visita di alcune ali degli edifici, ma considerato che - come detto poc'anzi - questa è divenuta dimora di nomadi e senzatetto, il tutto può essere facilmente interpretabile con coerenza.

Storicamente provato, invece, che tra queste mura sia stato ospite anche Benito Albino Dalser, il figlio nato da una relazione tra Benito Mussolini ed Ida Irene Dalser. Secondo la versione ufficiale, questi morì di consunzione nel 1942; ciò non toglie che la prematura scomparsa abbia fatto circolar voci secondo le quali si sia, piuttosto, trattato di un vero e proprio "delitto di regime". Tuttavia, la storia di Benito Albino merita un capitolo a parte che verrà sicuramente ripreso prossimamente. 

Rispetto a qualche anno fa non rimane molto, eppure è ancora possibile trovare, nelle stanze più o meno in penombra dei singoli padiglioni, mobili, sanitari, qualche letto, strumenti ospedalieri, materassi, sedie, mentre sulle pareti troneggiano graffiti (alcuni di ottima fattura), scarabocchi, frasi ad effetto e bestemmie. Numerosi documenti clinici sono sparpagliati per tutto l'edificio: con un po' di pazienza è possibile trovarne qualcuno ben dettagliato in cui la storia del paziente può essere debitamente ricostruita.
Quando, poi, entrando in una delle stanze del piano di sopra di uno di questi edifici, troviamo adesivi con i nomi dei pazienti appiccicati sulle ante degli armadi, ci rendiamo conto che i "matti di Mombello" non se ne sono mai andati del tutto, sono ancora lì, custodi di una memoria che non vuole essere dimenticata. 

Per una storia più approfondita del manicomio di Mombello, vi suggerisco di dare un'occhiata al sito dell'Aspi (Archivio storico della psicologia italiana), dal quale ho anche estratto alcune informazioni utlizzate in questo articolo. 

© Monica Taddia (foto ed articolo)
Grazie alle mie compagne d'avventura Chiara e Sara!


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