mercoledì 17 settembre 2014

Il mio nome è Franchetta, Franchetta la Strega


(Anno Domini 1587) In montagna, a luglio , al mattino l’aria è fresca. I prati sono pieni di fiori e di erbe. C’è la genziana, l’arnica dai fiori arancione, i barbabuc, l’eufrasia dai fiori delicati con corolle bianche screziate di giallo e due petali viola, il petrosello, i gigli, i narcisi, la strigonella, insomma un mare di colori.
Sto raccogliendo erbe lungo le pendici del monte Saccarello, erbe che mi serviranno per curare i malanni miei e della mia famiglia. Le donne di Triora sanno distinguere le erbe medicinali, e fin da piccola mia mamma, mi ha insegnato a riconoscere le erbe e a farle macerare per ottenere unguenti e olii. Oggi devo raccogliere i bulbi dei gigli, quelli con i fiori viola, perché ormai ho sessanta anni e l’età mi procura male ai reni e i bulbi lessati mi fanno urinare e mi sento subito meglio, poi dovrò cercare della genziana, le sue radici sono curative quando si ha la febbre. Raccoglierò anche le castagne cadute dalle piante dei miei terreni, le castagne sono un dono di Dio perché seccate si conservano tutto l’anno e vengono mangiate nel latte mentre una parte viene macinata e la farina ottenuta verrà utilizzata durante l’inverno. A dir il vero le castagne non sono mai state il mio alimento principale perché appartengo a una facoltosa e nobile famiglia di Triora, paese che è sempre stato ricco, al centro dei traffici tra la costa, il Piemonte e la Francia e che Genova considera il suo granaio, ma una terribile carestia flagella il paese da ben due anni e molti bambini e adulti sono morti di stenti e anche noi incominciamo a patire la fame. Mentre sto scavando nel terreno per recuperare i bulbi vedo avanzare una guardia, la conosco arriva da Genova, mi chiama e mi invita a seguirlo. Il mio cuore batte più forte, non capisco cosa vuole da me, non vorrei che la mia persona fosse collegata al caso di alcune donne del mio paese fatte arrestare perché accusate di essere delle streghe. Sono finite in carcere ben tredici donne, tre ragazze e un ragazzino. Si mormora che siano state torturate e una mia amica, Isotta Stella, a causa delle torture è morta e un’altra, per fuggire all’inquisizione si è gettata dalla finestra e non è sopravvissuta. Il prete, nella predica domenicale, ha detto che hanno preferito morire piuttosto che tradire Satana ma non posso pensare che fossero veramente delle streghe. Le altre adesso sono rinchiuse in due case del paese che sono state adibite a prigione. Provo a parlargli ma lui non risponde, dice solo che saprò tutto quando parlerò con tal Giulio Scribani mandato da Genova per sostituire i precedenti inquisitori.
Ho il cuore in gola, di questi tempi c’è da aver paura di tutto. Arriviamo ad una casa all’inizio del paese, mi fa entrare in una stanza arredata con un tavolo, una sedia e un armadio contro la parete. Poco dopo entra un uomo non alto, grasso che si siede e incomincia subito a interrogarmi. Mi chiede se sono io Franchetta Borelli di anni 60 ed io rispondo di sì e gli chiedo cosa vuole da me. Lui quasi urlando afferma che io sono una prostituta e una strega molto potente, protetta da Satana, e che devo confessare i miei peccati, solo così avrò salva la mia anima. Mi sventola sotto il naso un foglio dove si attesta che tredici streghe hanno fatto sotto tortura il mio nome.
Mi getto ai suoi piedi gli dico che sono fandonie di donne gelose perché in gioventù sono stata un bella donna e che è vero, con qualche loro marito mi sono anche divertita, ma che non sono una strega. Non vuole ascoltarmi anzi ordina alla guardia di mettermi sul cavalletto della tortura. Ma prima di portarmi via chiama un brutto figuro e gli ordina di denudarmi e di tagliarmi i capelli e tutti i peli del corpo e subito dopo mi fa indossare una camicia lunga bianca. Vengo trascinata in un’altra stanza dove mi legano mani e piedi a una sorta di banco arcuato in modo da mostrare la schiena ad un uomo armato di scudiscio. E da quel momento sprofondo in un inferno. Incominciano a flagellarmi, la frusta sibila ed io grido per il dolore, sento il sangue scorrere sulla mia schiena, ma ogni tanto lo Scribani ferma l’uomo con lo scudiscio e mi chiede in termini perentori di confessare la mia colpa. Sono come separata dal mio corpo, sento la mia voce supplicare di smettere e affermare che non ho commesso nessun reato, ma lui ribatte che noi streghe abbiamo fatto morire molti bambini e la mia voce risponde gridando che non è vero, io amo i bambini, sono morti per la mancanza di cibo, ma la tortura subito riprende. Svengo parecchie volte, il dolore è insopportabile, mi gettano sul viso un secchio d’acqua e io rinvengo e sento strisce di dolore puro attraversare la mia schiena, desidero morire e prego il buon Dio di mettere fine a questo tormento. Invece prendono le corde che mi legano le mani e le legano a un perno su una ruota che a un cenno dello Scribani, viene fatta girare facendo si che il mio corpo venga tirato. Mi sento morire le braccia si tendono, il mio corpo a ogni giro di ruota fa più resistenza e alla fine le ossa delle braccia escono dalla loro sede. Le urla salgono al cielo e svengo di nuovo. Ogni tanto una voce mi parla, così mi sembra e afferma che noi streghe rendiamo disgustoso il latte materno, che inaridiamo le mammelle delle mucche, che con pozioni a base di belladonna e stramonio ci abbandoniamo ad orge sfrenate e ci accoppiamo con il diavolo. Ed io nego gli dico che non ho mai partecipato a nessuna orgia ma non mi ascoltano, mi infilano aghi sotto le unghie dei piedi, mi schiacciano i pollici, mi bruciano le piante dei piedi, ma ormai non sento più il dolore. Anzi forse sono impazzita perché mi scappa da ridere, il mio corpo è come anestetizzato. Non sento più male, mi freno perché se mi sentono ridere penseranno che sono invasa dal demonio e la mia vita finirebbe immediatamente. Lo Scribani mi chiede ancora come mai se non sono una strega i bambini nascono morti ma non riesco più a parlare, ripeto dentro di me che solo noi donne sappiamo far nascere i bambini e loro con la scusa delle streghe hanno imprigionato le levatrici del paese e adesso le donne partoriscono nella stalla in mezzo al letame ed è per questo che i bambini muoiono. Ogni tanto chiedo con voce strozzata dell’acqua ma non ottengo risposta.
La tortura si prolunga per 21 ore e visto che non parlo finalmente mi tirano giù dal cavalletto e sorreggendomi perché le piante dei miei piedi bruciati non mi permettono di camminare, mi fanno sedere ad un tavolo e mi danno da mangiare una minestra di pane sbriciolato, poi mi mettono in una cella. Mio fratello era stato avvertito nel frattempo della mia prigionia e aveva pagato una forte somma per il mio rilascio, infatti una mattina mi trascinano fuori ed io posso riabbracciare la mia famiglia. Questa è la mia verità, noi donne siamo sempre accusate di ogni male perché conosciamo le proprietà delle erbe, perché facciamo nascere i bambini, perché siamo coloro che curano le malattie ma in questo mondo la conoscenza delle donne spaventa e quindi veniamo additate come quelle che hanno venduto l’anima a Satana e di conseguenza ci torturano, ci bruciano o ci fanno morire in cella. Questa è la verità non credete a quegli aguzzini, guidati da quel pazzo dello Scribani, sono solo dei sadici appoggiati da una parte del clero e del popolo, perché la donna è considerata un essere inferiore e deve stare sottomessa all’uomo.

Enrico Garrou 25/7/2014

Delle donne imprigionate non si ha notizia ma sembra che nessuna fu condannata a morte dal San’uffizio. Di Franchetta si sa che visse ancora alcuni anni e fu sepolta alla sua morte cristianamente.

( http://enricogarrou.wordpress.com )

Foto di Fabio Pavan

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